lunedì 11 gennaio 2016

Fabrizio De André, diciassette anni dalla morte: il vuoto lasciato da un cantautore autentico

L’11 gennaio di diciassette anni fa moriva Fabrizio De André, il più importante cantautore italiano. Era il più importante per molti aspetti: non è qui interessante capire se fosse il più bravo, ma per l’approccio al proprio mestiere e una serie di elementi di stile, di momento e di modo in cui i suoi brani sono arrivati al successo, De André può essere indicato come l’artista più rappresentativo per un intero genere di canzone.


Questo scritto però non parlerà solo di lui. Nel mese di gennaio sono venuti a mancare nel tempo molti dei migliori artisti della canzone d’autore italiana, per esempio Ivan GrazianiGiorgio Gaber, Pino Daniele, Piero Ciampi o Luigi Tenco. Mi è venuta così una riflessione in questi giorni: ci sono artisti che dopo la morte vengono sopravvalutati per via dello sciacallaggio di certo cattivo giornalismo, e altri che accrescono “autonomamente” in chi resta la percezione del proprio valore, solo a causa della loro mancanza, come se l’assenza fisica acuisse la sensibilità del fruitore attento.
Intendiamoci: il fruitore se è attento lo è anche quando quel cantautore è in vita. Il fatto è che, quando un ottimo artista ci lascia, crea un vuoto colmabile unicamente con la sua presenza, per la sola ragione che lui sapeva fare certe cose e altri no. Succede quando ad andarsene sono artisti con una dote su tutte: l’autenticità.
Proviamo a ragionarci su. Ho già parlato su queste pagine del concetto di “autentico” in contrapposizione a quello di “sincero”. Qui ci basterà tener presente che qualcosa di “autentico” rimanda a un autore certo, preso in considerazione per la sua capacità di “saper fare” l’oggetto unico di cui si discute (nel caso di De André, quindi, scrivere ed eseguire canzoni), su cui si riflette o che si vende all’incanto. “Autenticare” un’opera d’arte, d’altronde, significa attribuirla a un autore, attestare un’eccellenza o anche semplicemente un’esclusività creatrice. Un autore “autentico” (in cui c’è consequenzialità riconoscibile e poderosa tra lo stile e il contenuto) sarà quindi una maestranza preziosa per una certa comunità di persone, fino a diventare anche civilmente insostituibile, nell’ordine di idee di chi pensa che la bellezza possa essere utile per migliorare la qualità di vita di quella stessa comunità. A questo punto, la sua mancanza atterrà non solo alla sfera artistica (della canzone d’autore, della scultura o dell’architettura), ma determinerà un vuoto incolmabile nella società. Vuoto che diverrà esponenziale a ogni ascolto, finché la nostra percezione sarà tanto sensibile da saper accogliere l’intero potenziale della bravura di quell’autore.
Questo è accaduto nel caso di Fabrizio De André. C’è chi vorrebbe“screditarne” il valore, per via del fatto che non scrivesse completamente da solo le proprie canzoni, ma si avvalesse invece di importanti collaboratori; oppure chi esalta delle sue canzoni solo la parte testuale e ne sottolinea la supposta pochezza musicale. Discorsi spesso trascurabili, fuori fuoco quando non pretestuosi. I brani, e anche l’intera struttura di molti dischi di De André, avevano una consequenzialità poderosa tra le cose che diceva e la sua poetica, il suo stile. Nelle interviste non sprecava mai le parole: le pesava, come pesava i concetti e la coerenza di fondo; “accarezzava” ogni singolo termine, proprio come accadeva in canzone.
Scrivo queste cose ripensando anche alla prima volta che conobbi di persona Francesco Guccini: la stessa dolce sensazione di consequenzialità e coerenza tra l’uomo e la sua arte. Guccini, che fino ad allora conoscevo solo per le sue canzoni, era perfettamente come me l’aspettavo e la mancanza di sorpresa descriveva un’autenticità antica e preziosa.
In quanti oggi, per via di queste caratteristiche – così come succede per Gaber, o per Pasolini –, si chiedono cos’avrebbe detto e cosa avrebbe scritto Fabrizio De André di fronte a ciò che succede nel nostro contemporaneo? Ecco perché, da diciassette anni, il vuoto che ha lasciato ci rende inevitabilmente più soli.
© Paolo Talanca & Il Fatto Quotidiano  


Un ricordo

"Caro Faber", la lettera che Don Gallo dedicò a Fabrizio De André a pochi giorni dalla sua morte


La loro Genova ha unito i loro destini, le loro storie si sono incrociate per sempre nell'attenzione verso gli ultimi e gli emarginati. Don Gallo, il prete di strada che si è fatto conoscere durante tutta la sua vita per l'impegno verso le condizioni umane dei disagiati e degli ultimi, dei dimenticati e Fabrizio De André, hanno condiviso tra le vie di Genova il racconto del mondo.
Lo hanno raccontato e testimoniato allo stesso modo. L'uno attraverso il Vangelo, l'altro attraverso la musica. Ai tempi dei liceo, Faber era l'alunno del cugino di Don Gallo, Giacomino Piana, che insegnava religione. Don Gallo invece si era insediato come viceparroco nella chiesa della Madonna del Carmine, a una cinquantina di metri dalla famosa Via del Campo, divenuta poi celebre negli accordi di De André.

Nel diciassettesimo anniversario della morte di Faber, questa lettera scritta da Don Gallo racconta, parola dopo parola, l'essenza dell'amico e cantautore italiano, ricordandone la profonda vicinanza verso l'umanità intera e gli insegnamenti scaturiti dalla sua "antologia dell'amore":
Caro Faber,
da tanti anni canto con te, per dare voce agli ultimi, ai vinti, ai fragili, ai perdenti. Canto con te e con tanti ragazzi in Comunità.
Quanti «Geordie» o «Michè», «Marinella» o «Bocca di Rosa» vivono accanto a me, nella mia città di mare che è anche la tua. Anch’io ogni giorno, come prete, «verso il vino e spezzo il pane per chi ha sete e fame». Tu, Faber, mi hai insegnato a distribuirlo, non solo tra le mura del Tempio, ma per le strade, nei vicoli più oscuri, nell’esclusione.
E ho scoperto con te, camminando in via del Campo, che «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».
La tua morte ci ha migliorati, Faber, come sa fare l’intelligenza.
Abbiamo riscoperto tutta la tua «antologia dell’amore», una profonda inquietudine dello spirito che coincide con l’aspirazione alla libertà.
E soprattutto, il tuo ricordo, le tue canzoni, ci stimolano ad andare avanti.
Caro Faber, tu non ci sei più ma restano gli emarginati, i pregiudizi, i diversi, restano l’ignoranza, l’arroganza, il potere, l’indifferenza.
La Comunità di san Benedetto ha aperto una porta in città. Nel 1971, mentre ascoltavamo il tuo album, Tutti morimmo a stento, in Comunità bussavano tanti personaggi derelitti e abbandonati: impiccati, migranti, tossicomani, suicidi, adolescenti traviate, bimbi impazziti per l’esplosione atomica.
Il tuo album ci lasciò una traccia indelebile. In quel tuo racconto crudo e dolente (che era ed è la nostra vita quotidiana) abbiamo intravisto una tenue parola di speranza, perché, come dicevi nella canzone, alla solitudine può seguire l’amore, come a ogni inverno segue la primavera [«Ma tu che vai, ma tu rimani / anche la neve morirà domani / l’amore ancora ci passerà vicino / nella stagione del biancospino», da L’amore, ndr].
È vero, Faber, di loro, degli esclusi, dei loro «occhi troppo belli», la mia Comunità si sente parte. Loro sanno essere i nostri occhi belli.
Caro Faber, grazie!
Ti abbiamo lasciato cantando Storia di un impiegato, Canzone di Maggio. Ci sembrano troppo attuali. Ti sentiamo oggi così vicino, così stretto a noi. Grazie.
E se credete orache tutto sia come primaperché avete votato ancorala sicurezza, la disciplina,convinti di allontanarela paura di cambiareverremo ancora alle vostre portee grideremo ancora più forteper quanto voi vi crediate assoltisiete per sempre coinvolti,per quanto voi vi crediate assoltisiete per sempre coinvolti.Caro Faber, parli all'uomo, amando l’uomo. Stringi la mano al cuore e svegli il dubbio che Dio esista.
Grazie.
Le ragazze e i ragazzi con don Andrea Gallo,
prete da marciapiede.
Genova, 14 gennaio 1999

sabato 2 gennaio 2016

Genoa e Sampdoria sotto la "Lanterna de Zena"



Genova e Sampdoria si dividono la suggestione della stracittadina calcistica più affascinante del campionato nazionale di serie A. Genova è affollata da occasioni di contesa e di rivalsa. Se la "Superba" rossoblù può vantare la sua antichità certificata dall’anno di nascita 1893, a Sampierdarena avvisano che la propria polisportiva è nata due anni prima, pur essendo la ginnastica il core sport della società sportiva che avrebbe poi rappresentato la genesi doriana.

Il derby della Lanterna nasce dopo la guerra, al di là delle prime partite disputate tra il Genoa e l’Andrea Doria e la Sampierdarenese negli anni trenta, dopo la nascita della Sampdoria, ufficializzata nel 1946, tra le scaramucce dei suoi primi patron, Pietro Sanguineti Amedeo Rissotto, i primi due presidenti che si contesero il battesimo della prima presidenza, per titolo di tessera la carica è poi appartenuta e riconosciuta al primo.

La Lanterna de Zena è il faro portuale della “Superba”Costruito nel dodicesimo secolo e ricostruito nel sedicesimo (pochi anni dopo una grande impresa militare proprio dello storico comandante Andrea Doria contro gli invasori francesi), è situato sopra un grande scoglio, ed è il faro più alto del Mediterraneo, secondo soltanto a quello di Île Vierge, Finistéere, località del dipartimento bretone della Repubblica francese. Se la maglia doriana privilegia il simbolo di Genova distinguendolo da quello del “Baciccia” (sullo stemma), il Grifone genoano conserva più intimamente il suo sorvolo immaginario sopra la Lanterna. Ma il dettaglio inganna, perché anche nello stemma genoano il volatile se ne sta sotto la croce rossa in campo bianco. L’ossequio quindi non latita, per entrambe le fazioni.

Il Genoa Cricket and Athletic Club è tra i club sportivi e calcistici più antichi del mondo, annoverato pure nell'International Bureau of Cultural Capitals e ammesso nel Club of PioneersQuesto documentario intitolato L’età dei Pionieri, realizzato dalla Fondazione Genoa 1893, racconta, con la voce narrante di Claudio Onofri, l’origine di quello che oggi è considerato il club calcistico più antico in attività.



Sempre restando in tema di documentari, non merita meno interesse questo lungometraggio documentaristico ricco di interviste e di testimonianze di personaggi vicini alla storia e alla sensibilità delle Due anime della SuperbaIl documentario, scritto e diretto da Andrea Bettinetti, e andato in onda per la prima volta il 30 dicembre 2012, approfondisce la storica rivalità tra le due tifoserie genovesi. Da don Andrea Gallo a Vittorio De Scalzi, autore dell’inno doriano, si susseguono omaggi e aneddoti sul derby della Lanterna.

Prima parte



Seconda parte


 

Il Genoa e la Sampdoria hanno annoverato molti personaggi che hanno fatto la storia del calcio italiano e internazionale. Gli stessi genovesi sono considerati tra i fondatori di altri club importanti. Gli Xeinezes del Boca Juniors devono la loro storia anche a un gruppo di immigrati di origine italiana, che, ai primi del Novecento, fondano la squadra della Bombonera in un quartiere abitato da molti genovesi. Da Zena il soprannome ai calciatori del Boca.

Sulla Sampdoria non mancano citazioni e appartenenze dichiarate di uomini del cinema. Paolo Villaggio non ha mai fatto mistero della sua passione per la Doria. Wong Kar-way, invece, in Angeli perduti assegna al personaggio di una ragazza orientale l’ammirazione per un Ruud Gullit militante nei blucerchiati. Fabrizio De Andrè appuntava quasi in segreto le vecchie formazioni del suo Genoa, la sua squadra del cuore, a tal punto da non riuscire nemmeno a omaggiarla con una canzone, tanto fosse forte il coinvolgimento emotivo del cantautore ligure. Proprio sulla passione di FaberTonino Cagnucci ha scritto e pubblicato, con la casa editrice Limina, il libro Il Grifone fragile”, Fabrizio De Andrè: storia di un tifoso del Genoa, parafrasando l’Amico fragile, storico brano scritto e cantato dal musicista genovese nell’album Volume 8.
  
Franco Scoglio (restando in tema di fari dei porti questo nome pare uno scherzo del destino) una volta ha detto, “Morirò parlando del Genoa”Il “Professore” è andato via parlando di calcio, in particolare proprio del Genoa, in una trasmissione televisiva presso una emittente ligure. L’ex allenatore del Grifone, che non aveva mai fatto mistero del suo amore per i colori rossoblù, ha un malore durante una discussione con il presidente Preziosi, in collegamento telefonico. Da quel malore non si riprenderà più.

Nel silenzio dei giorni di quiete pallonara i cavalli della Villa Centurione Musso Piantelli ancora galoppano, dove, a inizio Novecento, nel 1911, fu costruito lo stadio del quartiere Marassi, diventato il Luigi Ferraris nel 1932, impianto storico luogo di sfide epiche, per grandi onori e per salvezze disperate. Il calcio ai piedi della Lanterna, orientato, talvolta disorientato, alla ricerca della luce di quel faro che ha ispirato artisti e poeti. Nessuno sa per chi tifi, la Lanterna, che, secondo la leggenda, avrebbe visto cadere dalla sua cima il suo progettista, lanciato giù per non ripetere altrove la sua creazione. Nessuno può dire se il faro solitario, che un tempo godeva della compagnia di un faro più piccolo, preferisca il Genoa antico o la Sampdoria divisa tra vecchie origini e nascite più recenti.

Una cosa però può essere notata. Il genoano De Andrè, nella sua celebre Creuza de ma, scrive, in genovese, “Ne sciurtìmmu da u mä pe sciugà e osse da u Dria”, che vuol dire “Usciamo dal mare per asciugare le ossa ad Andrea”Se il riferimento dovesse essere al leggendario comandante Andrea Doria, varrebbe la pena ricordare pure che la Sampdoria è nata dalla fusione della Sampierdarenese e dell’Andra Doria. A volte sembra che nelle rivalità siano compresi anche i legami tra i rivali stessi. Ma guai a dirselo.



© Elio Goka