mercoledì 15 ottobre 2014

Gigi Meroni, 15 ottobre

Da "Il Grifone fragile":
"...Gli anni Cinquanta sono stati il 1954 quando Fabrizio De André si rifiuta di iscriversi al liceo che si chiama Doria, s’innamora di Anna la puttana pelosa, si mette il montgomery bianco e la sciarpa rossoblù al tempio, mentre una volta lo beccano a far l’amore in chiesa. Nel 1959 conosce il poeta Mannarini. È il Genoa dell’adolescenza di Fabrizio, anima in pena in terra e mare, che impara a lottare per la salvezza. Anima salva per questo. Siamo vicini al boom dei Sessanta: la Ballata del Michè. Nel 1962 Fabrizio De André si sposa con Enrica Rignon, la sua Puny, troppo presto per non lasciarsi un giorno, e diventa padre a dicembre di quell’anno. Nel 1962 Fabrizio De André marito e padre diventa consapevole di una cosa: il calcio è arte. Lo scrive. A Genova arriva Gigi Meroni:
"Meroni fu un artista nella vita e in campo"
(Dai diari di Fabrizio De André)
Che questo sia stato l’amore calcistico della sua vita me lo ha detto il suo amore più grande, Dori Ghezzi: «Era innamorato di Meroni, di Meroni, Fabrizio ne parlava sempre». È bello che a dirlo sia la donna con la quale poi De André sceglierà di risposarsi. Perché quella di Meroni, De André, Puny e Dori, è anche una storia di matrimoni: Meroni è stato un poeta in campo, coi suoi dribbling sghembi, con le sue corse con le ali troppo grandi per non inciampare negli ostacoli di chi striscia, col suo andare girovago secondo fantasia e non secondo la bussola, dentro, sopra, sotto e fuori dal campo. Gigi Meroni aveva sconvolto la morale pubblica non tanto perché andava in giro con la gallina al guinzaglio, per l’abbigliamento e il look eccentrico, perché dipingeva, perché nessun difensore della pubblica ottusità riusciva a fermarlo, piuttosto per essere andato a convivere con una donna sposata con un regista romano ma separata di fatto. Quello era stato il suo più grande dribbling e il suo più grande tunnel a uomini e a donne di buona volontà di questo mondo. Gigi Meroni è stato l’amico fragile calcistico di Fabrizio De André e di chiunque sia innamorato del mare, di un gabbiano e di una vecchia storia... Di chi un giorno s’è detto di non volersi mai abituare all’abitudine, di chi per abitudine ha deciso di essere sconveniente, cioè di mantenere viva sempre la scintilla contro la convenienza, l’opportunità, il conformismo. Di chi alle geometrie preferisce il caos stellare che c’è dentro un dribbling. Gigi Meroni la bocca da gol del Zena (secondo Faber il più grande centravanti rossoblù – pur non essendolo! – fino ai tempi di Aguilera) è stata la prima – e forse unica – Bocca di Rosa del calcio italiano che era, ed è ancora un enorme gigantesco ipocrita paesino di Sant’Ilario.
«Io faccio così non per esibizionismo, ma perché sono così, perché anelo alla libertà assoluta e questi capelli, questa barba sono dei segni di libertà. Può darsi che un giorno cambierò, quando la mia libertà sarà un’altra». (Gigi Meroni)
Libertà! Libertà! Libertà! De André ha sempre visto in Gigi Meroni un corrispettivo anarchico in quella Via del Campo di Marassi, sulla cattiva strada che va dagli spogliatoi alla vita. Qualcosa di profondamente fresco che arrivava proprio nel momento in cui Faber invece si sposava e si sposava una contessa, per diventare padre otto mesi dopo, ripercorrendo, più che in parte, il copione familiare del padre Giuseppe, sposatosi a 23 anni. Tutta la storia è una storia di padri e di figli. Gigi Meroni era qualcosa di straordinario che veniva da Como, cioè era un Promesso Sposo, una promessa del calcio italiano che aveva trovato in Genova la sua città ideale, per i carruggi, per gli odori, per i profili da numero 7 (tutta Genova è un numero 7 tra le montagne e le onde), per il mare. Quando venne venduto, i tifosi del Genoa misero a ferro e fuoco la sede, De André ci rimase malissimo (tanto da scrivere di questa cosa ancora agli inizi degli anni Novanta sul suo diarietto!), i portuali fecero le barricate per strada: il ’68 a Genova è stato il butterfly effect del volo della farfalla granata. Così, poi, non diventa un caso che Gigi Meroni lascerà il Genoa proprio per andare al Torino, lì dove tutto ebbe inizio nel cuore di Faber. Torino che significa Toro, un’altra grande storia di poesia, di tremendismo, di Superga, di leggenda, di verità, ma che significa anche il suo contrario: Agnelli, «La Stampa», la Fiat. Quando Gigi Meroni morirà, «La Stampa» farà una campagna contro i suoi funerali in chiesa mentre dal carcere delle Nuove di Torino i detenuti raccoglieranno soldi per mandare fiori sulla sua bara. È così evidente in questo episodio il doppio calcio d’inizio del Grifone fragile, così chiaro dove vadano le orme di Faber. Gigi Meroni è una canzone di De André, un personaggio della sua vita e della sua fantasia, un uomo colorato per cui ha tifato, qualcosa di più per essere dimenticato, un’ultima strofa, un epitaffio da mettere sulla sua personalissima Via del Campo di Marassi: un diamante che germoglia profumo e che se ne va a morire per sempre con la squadra del papà. Un viaggio Genoa- Torino di sola andata destinazione Paradiso. È lì – a Villa Paradiso – in quegli anni che Fabrizio De André va a vivere con la moglie e con un bambino ancora troppo piccolo per lui...


"Era un artista"