mercoledì 16 aprile 2014

Il grifone fragile

Fabrizio De André s'è fatto cremare con la sciarpa del Genoa. S'è nascosto il Genoa dentro al cuore. "Ma come, De André tifoso?". È il gusto di rispondere a questo odioso stupore. Come se la cultura non fosse stare con gli occhi aperti in mezzo al mondo. Come se il calcio, un manufatto dell'umanità fatto coi piedi, non fosse arte. Come se non fossero esistiti Meroni, Cantona, Le Tissier, Maiellaro, Garrincha, Vendrame. Come se non fossero giganteschi affreschi umani le curve prima dell'avvento della Tessera del Tifoso, e come se non fosse amore quello che c'è dietro a tutto questo. È come fosse uno scandalo che non si può dire: il calcio come arte e poesia. Il pallone sta dalla parte della vita. De André come nessun altro è stato da questa parte. Fa scalpore la sproporzione fra quanto scritto sul suo cuore, alla ricerca del suo cuore, e il suo cuore semplicemente rossoblu. Come se questo non fosse un modo degno di raccontare o, peggio, di raccontarlo. È il più grande sgarbo che si possa fare a De André, lui che ha sempre cercato il vero, che spesso trovi nel basso e non nell'alto dei cieli (il Grifone simbolo del Genoa si mischia con la terra per volare), fiutando peggio di un cane frammenti di racconti perduti. Il Genoa è stato il suo pudore. In tutta la sua produzione non l'ha mai nominato. Il Genoa è stato il suo amore. E quando verranno a chiedertelo un amore così lungo tu non darglielo in fretta... Non l'hanno ancora fatto. Il vero De André apocrifo è questo.

domenica 6 aprile 2014

Fabrizio De Andrè, professione: tifoso del Genoa


Fabrizio De André s’è fatto cremare con la sciarpa del Genoa. S’è nascosto il Genoa dentro al cuore. “Ma come, De André tifoso?”. Come se questo non fosse un modo degno di raccontare o, peggio, di raccontarlo. E’ il più grande sgarbo che si possa fare a De André. Il Genoa è stato il suo pudore. In tutta la sua produzione non l’ha mai nominato. Il Genoa è stato il suo amore. Il vero De André apocrifo è questo.

Nato a Roma il 21 luglio 1972, laureato in filosofia, giornalista professionista e scrittore, Tonino Cagnucci ha scritto il suo primo articolo nel 1990 e il suo primo libro nel 2009. E’ caporedattore de Il romanista, l’unico quotidiano al mondo dedicato a una squadra di calcio, sul quale scrive dal giorno della fondazione. Con Limina ha pubblicato Daniele De Rossi-Il mare di Roma giunto alla quarta ristampa, e Francesco. Totti dai pollici al cuore. Considera il calcio l’ultima forma di arte possibile. Vorrebbe vivere negli Anni Ottanta (i primi). Ogni tanto si ferma e dice: “Devo parlare con il mio migliore amico”. E mette su un disco di De André.

INTERVISTA A TONINO CAGNUCCI, SABATO 5 APRILE 2014 (a cura di Luca Balduzzi)

Quanto Fabrizio De André era tifoso del Genoa?
Era tifoso quanto lo può essere un tifoso. Era un tifoso e basta. Era un genoano, forse l’unica definizione che ci può stare accanto a al nome di Faber oltre a quella di poeta. Così come nell’amore non si è più o meno innamorati, ma si ama e basta, così Fabrizio De André era tifoso del Genoa. E’ l’unica tesi del libro. E’ la ragione del libro.

Come mai questo profilo di Fabrizio De André è rimasto sconosciuto per così lungo tempo? Come se lui lo avesse vissuto come un fatto privato, mentre al contrario è lui in persona a “raccontarcelo” per primo attraverso le pagine dei suoi diari…
Credo sostanzialmente per due motivi e non so quale sia il più rilevante. Sicuramente perché Fabrizio De André questa passione l’ha coltivata ma non ci si è mai messo in posa. Il Genoa se lo è tenuto dentro per una forma di pudore, è stata la sua passione segreta, tra le più intime e profonde. E poi per una schifoso e profondo pregiudizio che una certa cultura cosiddetta alta ha sempre avuto nei confronti del calcio. Da questo punto di vista, diciamo accademico, non solo il calcio merita un’attenzione da circo, da roba dozzinale, da oppio dei popoli, da divertimento nazional popolare, ma accostarlo a De André è addirittura blasfemo, scandaloso, ridicolo. Termini perfettamente deandreiani. Io credo che non c’è niente di peggiore che approcciarsi a De André da radical chic, e poi non si tratta di peggio o di meglio: Fabrizio De André era un tifoso del Genoa e il Genoa è stata una cosa importante della sua vita. Nei suoi diari c’è tutto questo. E tanto di più.

Diari che contengono, fra l’altro, appunti e considerazioni di carattere calcistico degni del migliore degli allenatori…
E del migliore dei tifosi. Ci sta tutto: formazioni, classifiche, proiezioni di calendario, tabelle salvezza, progetti di campagna acquisti e cessioni, la letterina a 7 anni a Gesù Bambino in cui chiede la divisa da gioco del Genoa… Chi è tifoso si riconoscerà sicuramente in quei diari bambini. Sono i custodi più incredibili e spudorati della sua fede genoana.

Questa passione per il Genoa di Fabrizio De André si è mai intravista fra i versi di qualche sua canzone? Di sicuro non in una canzone dedicata specificamente alla squadra, visto che è lui stesso ad ammettere che lo «coinvolge troppo»…
Ti rispondo come una volta rispose lui: «Al Genoa avrei scritto una canzone d’amore, ma non lo faccio perché per fare canzoni bisogna conservare un certo distacco verso quello che scrivi, invece il Genoa mi coinvolge troppo». E il pudore di cui parlavo prima.

Quanto vivere gli alti e i bassi del Genoa coincide, per Fabrizio De André, con maniere e sentimenti differenti di vivere la città Genova?
Credo che per un genoano l’identificazione con Genova sia pressoché totale. Non si tratta di vivere gli alti e i bassi di una squadra di calcio, si tratta di portarsela sempre dietro e ogni genovese (e genoano) Genova ce l’ha dentro. Soprattutto quando è lontano.

A raccontare il Fabrizio De André tifoso sono anche altri genovesi illustri, e colleghi cantautori/musicisti…
Sì, Baccini, i New Trolls, Villaggio, Zigoni, e tanti altri. Ma la testimonianza più bella per me resta quella di Dori Ghezzi e il suo racconto di quei giorni all’hotel Supramonte: coi sequestratori parlava soprattutto di una cosa, del calcio e del Genoa.

In che maniera Fabrizio De Andre guarderebbe al calcio di oggi?
Credo con un senso di ribrezzo e di sdegno verso il calcio dei tornelli, delle tessere del tifoso, delle curve chiuse, verso un calcio che è sempre più industria di pochi e sempre meno pallone. Il calcio è una rivoluzione di sentimenti soprattutto, ecco perché De André è stato un grande tifoso.

Articolo di Luca Balduzzi per Imola Oggi