mercoledì 29 maggio 2013

In un libro la magia del tifo del giovane Fabrizio De André

Quel giorno, il Genoa si chiamava Genova 1893 perché c' erano i fascisti. Giocò allo stadio comunale del Littorio di Novara, in viale Alcarotti. Era domenica, 18 febbraio 1940. Gol di Bertoni I. Ma la vittoria dei rossoblù, allenati da William Garbutt, non fu omologata: un guardalinee denunciò che il calcio d' inizio e quello del secondo tempo erano stati battuti dalla stessa squadra. Ecco, quel giorno nasceva Fabrizio De André. Genoano. Una storia che è solo amore, passione e nobiltà: poesia pura. Perché a otto anni Faber scrisse la sua letterina a Gesù Bambino: "Per piacere, io desidero i seguenti doni, naturalmente se me li merito: i soldatini con il carro armato, la divisa da giocatore del Genoa...". E poi c' era una vecchia agenda del Credito Lombardo su cui annotava quasi maniacalmente risultati e statistiche della squadra: un 10 febbraio alla terza di ritorno i rossoblù hanno la quinta difesa ed il sesto attacco, Aguilera ha segnato sei retie Pacione quattro, Branco e Caricola sono diffidati ma pure cinque giocatori del Lecce, il prossimo avversario in calendario. Su di un foglietto piegato in due, esemplare e commovente, De André ha scritto con la biro blu: "Nell' assolata galera patria/ il secondo secondino/ disse a Baffi di Sego che era il primo/ sbattiamo fuori Curcio sul far del mattino...". È il testo originale di un capolavoro, La Domenica delle Salme. Sull' altro lato, Faber ha usato la biro nera: "12 Berti, 13 Ferroni, 14 Collovati, 15 Fortunato, 16 Corrado, 17 Fiorin...", sì, è la panchina del Genoa. Il Grifone Fragile è il titolo di un libro sorprendente e quasi malinconico per tanta ingenua bellezza, scritto da Tonino Cagnucci. Che racconta quello che idealmente considera il suo "migliore amico" - Faber, appunto - e lo fa attraverso la grande passione del poeta genovese. Fabrizio che si fece cremare con la sciarpa rossoblù legata al collo. Fabrizio che quando era sequestrato in Sardegna, la prima cosa che chiedeva ai suoi carcerieri era il risultato del Genoa. «Il Genoa è stato il suo pudore - dice Cagnucci -. In tutta la sua produzione non l' ha mai nominato. Il Genoa è stato il suo amore. E quando verranno a chiedertelo un amore così lungo tu non darglielo in fretta... Non l' hanno ancora fatto. Il vero De André apocrifo è questo». Il libro contiene un esclusivo inserto fotografico, recuperato attraverso il Centro Studi dell' Università di Siena: con le immagini di quei fogli, della storia e della passione del cantautore. Con una formazione ideale: Braglia-Signorini- Torrente, Collovati, Puxeddu (testuale, n . d . r . ) - Ruotolo, Alemao - Eranio, Matteoli-Aguilera, De Zotti. Con una tabellasalvezza ("Ci si salva a 27"). E un suggestivo mistero, tra un serie di appuntamenti di lavoro: "Chiedere di Totti". Un giovanissimo Totti in rossoblù, chissà. Estratti dai diari, riflessioni. "L' unica preoccupazione che mi dà Scoglio è di non averlo mai visto ridere". "Io sono genoano da prima di nascere". Poi, la confessione: "Il Genoa non è mai entrato nelle mie canzoni perché per fare canzoni bisogna conservare un certo distacco verso quello che scrivi, invece il Genoa mi coinvolge troppo". Fragile Faber, come il suo Grifone.

Articolo di Massimo Calandri per La Repubblica



“Il Grifone fragile” di Tonino Cagnucci


 
Doverosa premessa di manifesta faziosità: parlare di Faber e di Genoa mi coinvolge troppo, nell’esatta quantità in cui – per sua stessa ammissione – il Genoa coinvolgeva Fabrizio De Andrè. Non sarò dunque per nulla distaccato nel parlare del libro Il Grifone fragile di Tonino Cagnucci.

Coinvolgimento. Perché se nasci in questa città le probabilità di incontrare Genoa e De Andrè ancora prima di capire cosa siano calcio e musica sono piuttosto alte.

Racconta Cagnucci che Fabrizio De Andrè scoprì la sua genoanità (sì, “scoprì” perché genoani lo si è già ancora prima di nascere) in un Genoa-Torino del dopoguerra, quando – sotto di tre reti a zero e a cinque minuti dalla fine – la squadra di casa intraprese una rimonta che solo un palo colpito all’ultimo minuto rese incompiuta. Vinse il Toro 3-2, quel Toro (il Grande Torino, la squadra tifata dal padre che lo aveva portato per la prima volta allo stadio). Ma il piccolo Fabrizio rimase incantato da quella incredibile e incompiuta rimonta intrapresa – in direzione ostinata e contraria – da undici ragazzi con una maglia a quarti rossoblù. D’altronde se prendiamo per vera la tesi sostenuta dal Premio Nobel Albert Camus e cioè che “Tutto quello che so della vita l’ho imparato dal calcio” allora si può affermare tranquillamente che per un tifoso del Genoa imparare ad andare controcorrente e ad amare incondizionatamente è più facile rispetto a molti altri tifosi di calcio.
Il Genoa non viene nominato mai in nessuna delle sue canzoni. Il Genoa era il suo pudore, diceva “al Genoa avrei scritto una canzone d’amore, ma non lo faccio perché per fare canzoni bisogna conservare un certo distacco verso quello che scrivi, invece il Genoa mi coinvolge troppo”. Coinvolgimento.

Ma è attraverso gli aneddoti di Faber su alcune glorie del passato (da Verdeal ad Abbadie, da Meroni a Turone) che questo libro è riuscito a riappacificarmi con il calcio. Un libro che parla di un calcio antico fatto di passione e di emozioni ad una piazza ormai totalmente rincoglionita da una squallida politica societaria che propina un calcio moderno fatto di plusvalenze e intrallazzi di ogni tipo. Un libro che può tornare utile a tutti quelli che ancora, dopo un anno, non hanno capito il gesto d’amore di quel Genoa-Siena: per dirla con le parole di Gianfranco Zigoni, “il genoano sa amare come pochi altri perché sa soffrire”. Un libro che può tornare utile a tutti quegli pseudo-intellettuali a cui qualche decadente giornale lascia spazi da riempire e che da comode postazioni – poltrone o amache che siano – parlano della città di Genova senza conoscerne l’identità: ho ancora in mente un cervellotico editoriale pubblicato quest’inverno che, basandosi sulla presenza di qualche sciarpa al collo dei metalmeccanici in piazza, si trasformò in un manifesto contro la società contemporanea imbarbarita dalla presenza degli operai che si fanno hooligans (se ci ripenso rimango ancora basito).

De Andrè non ha mai cantato il Genoa (ad eccezione di una canzone scritta agli inizi degli anni ’90 con Francesco Baccini) ma in tante sue canzoni è possibile trovare il Genoa, essendo che due grandi temi dell’opera deandreiana sono la città di Genova e l’amore.

Un libro, dunque, che parla di Faber, di Genoa, di Genova e di amore come di un grande indissolubile intreccio di quattro fili. E poi le coincidenze, che ritornano quasi ossessivamente. De Andrè che nasce nella settimana in cui il Genoa è per l’ultima volta in testa al campionato alla fine del girone di andata. De Andrè che riesce a scavare nell’umanità dei suoi rapitori attraverso la curiosità per i risultati del Genoa. De Andrè che manifesta la sua genoanità chiedendo a Gesù Bambino la maglia da calciatore del Genoa dopo un Genoa-Lucchese degli anni ’40 e De Andrè che muore una domenica sera dopo un Lucchese-Genoa degli anni ’90.

Sono grato a Tonino Cagnucci per questo intenso ritratto di un De Andrè sconosciuto ai più (soprattutto a chi non è di Genova) perché nonostante una fede calcistica diversa (anche se ritengo dai connotati molto simile a quella genoana) è riuscito a descrivere non solo Faber ma anche tutti noi.

Dal Blog: Il mondo è nostro


venerdì 24 maggio 2013

Recensioni: Genoa Cricket and Football Club

IN UN LIBRO LA GENOANITA’ DI FABER

“Troppo coinvolto emotivamente” rispondeva Fabrizio De Andrè, il cantore degli ‘ultimi’ e amico di Don Gallo. Quante notti passate insieme a ridere, parlare, cantare. Eppure glielo avevano chiesto in tanti, gente di strada, colleghi famosi. Ma lui, niente. Solo una collaborazione canora, per “Genoa you are red and blue” di Francesco Baccini. (...)
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Dal sito ufficiale del Genoa Cricket and Football Club


Il Grifone Fragile: Fabrizio De Andrè secondo Cagnucci


Vi immaginate Tonino Cagnucci, caporedattore del Romanista e una delle firme romaniste più amate, che scrive di Ramon Turone senza citare il gol annullato? E' mai possibile? Il miracolo sta nelle pagine de "Il Grifone fragile – Fabrizio De André storia di un tifoso del Genoa", un libro edito da Limina da pochi giorni nelle librerie italiane.

Il miracolo sta dentro quelle pagine. Sono letteratura, non solo, sono letteratura di calcio, fra calcio e musica. E' quello che più ama fare Cagnucci convinto com'è che il calcio sia l'ultima forma di arte possibile. Le carte le scopre subito: "Ma come De André tifoso?". E' il gusto di rispondere a questo odioso stupore. Come se la cultura non fosse stare con gli occhi aperti in mezzo al mondo. Come se il calcio, un manufatto dell'umanità fatto coi piedi, non fosse arte. Come se non fossero esistiti Meroni, Cantona, Le Tissier, Maiellaro, Garrincha, Vendrame. (...)Il pallone sta dalla parte della vita. De André come nessun altro è stato da questa parte. Fa scalpore la sproporzione fra quanto scritto sul suo cuore, alla ricerca del suo cuore, e il suo cuore semplicemente rossoblu". 

Fa scalpore quello che Cagnucci è riuscito a raccontare di Faber genoano. E' un libro che segue una cronologia impossibile, dalla nascita al giorno della morte di De André e oltre. C'è la letterina di Bicio che scrive a Gesù Bambino per Natale quando aveva nemmeno 8 anni chiedendogli un aereo, la macchina, la nave e la divisa da giocatore del Genoa. C'è il racconto fatto direttamente da De André della sua prima volta a Marassi quando istintivamente scelse il Genoa che aveva appena perso contro il grande Torino, scegliendo da quel momento di stare sempre dalla parte degli ultimi, dei perdenti, dei senza storia di questo mondo. Scegliendo di percorrere sempre la Via del Campo. 

Ci sono i suoi "apprezzamenti" giovanili sulla Sampdoria ("Più che ad una fusione con la Samp sarei favorevole ad una sua eliminazione!"), c'è il racconto forse più bello di tutto il libro degli Anni 70, degli inizi degli Anni 70, quando il Genoa precipita in serie C e Faber lo segue per cielo, per terra e per mare, fino al Giugno '73 quando il Grifone, mai scosì fragile, torna in serie A. E poi via da Genova e dal Genoa, per la Sardegna dove un giorno Fabrizio De André verrà sequestrato insieme a Dori Ghezzi e lì c'è la testimonianza più grande della genoanità di Faber. La racconta a Cagnucci proprio Dori Ghezzi: "Fabrizio chiedeva ai sequestratori che ha fatto il Genoa, era una delle poche soddisfazioni che c'erano concesse". E poi via, via dall'Hotel Supramonte, attraverso Creuza de ma e altri luoghi ed episodi da leggere o da vedere, perché la cosa che colpisce subito del "Grifone fragile" è l'inserto fotografico: immagini inedite ed esclusive delle agende segrete di De André conservate nell'università di Siena, appunti di calcio, mille formazioni del Genoa, campagne acquisti, classifiche, giocatori in diffida e giocatori da celebrare, un tesoro per chiunque sia malato di calcio e di Faber, per chi sia "malato di cuore". La fine parla della fine e stupisce ... "Fabrizio De André ha fatto letteralmente precipitare il Paradiso in un primo piano di una puttana che starà sempre a Via del Campo con gli occhi color di foglia perché sono quelli che sanno guardare meglio la vita, sono quelli che ti guardano fisso quando cadi, quelli che non si chiudono davanti alle miserie, ai bisogni, alle disperazioni, alle speranze, ai figli mai nati...". 

E finisce proprio con un gol di Foglia prima che De André raggiunga finalmente la Stella sognata da sempre da tutti i genoani.

Articolo di Francesca Ceci

 

mercoledì 22 maggio 2013

Il Grifone fragile-Fabrizio De Andrè: storia di un tifoso del Genoa

Omaggio a De Andrè
Il Grifone fragile-Fabrizio De Andrè: storia di un tifoso del Genoa


Esce nelle librerie un toccante volume che racconta il grande amore del cantautore genovese per il club rossoblù. Con documenti inediti e interventi di molti personaggi vicini al cantautore genovese.

Gli amori troppo forti ti fanno sentire fragile. Forse per questo ne hai bisogno. Gli amori non sempre durano, ma ce n'è uno che non ti abbandona mai. Quello per la tua squadra del cuore. Quello che aveva Fabrizio De André per il Genoa e che Tonino Cagnucci racconta ne Il Grifone fragile – Fabrizio De André, storia di un tifoso del Genoa (Limina, 171 pagg. euro 16,90) da pochi giorni nelle librerie. Una biografia? Non proprio. Intanto perché l'autore non potrebbe essere più lontano da qualsiasi forma di categorizzazione sia per formazione (laureato in Estetica, caporedattore del Romanista fin dai suoi inizi) sia per un modo di raccontare che apre lo spazio per l'incontro di tante voci. Poi perché le vite raccontate sono almeno due. Quella di Faber e quella del Genoa, che diventano la stessa cosa, come nel ritratto del cantautore genovese (“quindi genoano, perché Genova è il Genoa”) sulla bandiera che sventola in gradinata Nord. Come se fosse il Genoa a fare il tifo per De André.

Troppo coinvolto —  L'amore di Fabrizio De André per il Genoa era noto, ma questo libro ne svela la vera essenza, che Faber ha sempre tenuto il più possibile nel suo privato. Non ha mai dedicato una canzone al Genoa perché "troppo coinvolto", non avrebbe avuto il necessario distacco. E non l'ha mai amata come quando l'ha lasciata, momento raccontato nel capitolo centrale (il settimo di quindici), più romantico e struggente del libro, quando "Giugno '73" (tra le più belle canzoni di De André) diventa soprattutto il mese e l'anno del ritorno in Genoa in A, nelle stagioni in cui Faber si sta preparando a lasciare Genova, dopo aver chiuso anche il primo matrimonio. E allora sì, Giugno '73: “E' stato meglio lasciarsi che non essersi mai incontrati”. Sono andati sempre insieme, De André e il Genoa. E tutto si rivela in questa biografia doppia, ma non duplicata, specchio di metafore dove tutto si rivela grazie al grande lavoro di ricerca dell'autore e la rivelazione, più che la ricerca, di rispondenze. Corrispondenze, direbbe Baudelaire. L'inizio è fin troppo chiaro. C'è De André che nasce nell'ultima settimana in cui il Genoa è primo in classifica nella sua storia, a quel punto del campionato.

Groviglio di emozioni — E ci sono soprattutto le agende di cui Cagnucci riesce a pubblicare – ed è la prima volta in assoluto – quelle pagine che appuntano formazioni del Genoa, tabelle salvezze, sogni di mercato, impropreri contro la Juventus e il Milan, il racconto di quando è diventato tifoso, i diffidati della squadra che il Genoa avrebbe incontrato. C'è persino una letterina a Gesù Bambino di "Bicio" a 8 anni ("Caro Gesù... portami la divisa da giocatore del Genoa"). Seguendo queste tracce scritte per non essere lette da nessuno inizia un percorso di rivelazione e rivoluzione, con tante voci che non si accavallano mai. Tra le tante, ci sono Dori Ghezzi, Francesco Baccini, il capo storico dei tifosi del Genoa Pippo Spagnolo, Gigi Riva, Gianfranco Zigoni che scopre di essere uno dei calciatori preferiti del Genoa e un Paolo Villaggio talmente doriano da non accettare che si parli di De André come di un genoano. Ma il viaggio evoca anche altre voci, da Gigi Meroni a Pier Paolo Pasolini, che con De André condivideva la stessa idea di Cristo e di calcio. L'abilità di Cagnucci è quella di dare una perfetta armonia a un intenso groviglio di emozioni e di tracciare un percorso che coinvolge al punto tale che è difficile staccarsi, perché più si va avanti e più si ha la sensazione che tutto si compia all'arrivo. Ed è quasi appagante scoprire che è veramente così nell'ultimo, struggente, capitolo di una storia che inizia parlando di calcio e finisce parlando di anime.

Da gazzetta.it

Anime Salve a 27 punti

(pp. 71-73/3) Appunti di carattere calcistico, con una nota (Ci si
salva a 27
).


da: Il Grifone fragile






Documento estratto da una delle agende personali di Fabrizio De André, conservate presso il "Centro Interdipartimentale di Studi Fabrizio De André", sorto per iniziativa della Fondazione Fabrizio De André e della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena.
LA RIPRODUZIONE E' RISERVATA

Il nome della città

"Le nostre passioni hanno delle origini imprevedibili, anche nel calcio. Durante la guerra ero sfollato in Piemonte e per me Genova era un mito, qualcosa di straordinario. Quando a cinque anni la vidi per la prima volta me ne innamorai subito, tremendamente e alla prima partita della mia vita, Genoa-Sampierdarenese, sposai subito la squadra che portava il nome della città. Un amore che non ho mai tradito, il più solido della mia vita fatta di contraddizioni continue. E' strana veramente la vita"

da: Il Grifone fragile, pagina 81

martedì 21 maggio 2013

Io e Fabrizio siamo stati i più grandi

"Io e Fabrizio siamo stati i più grandi. Scherzo? Sì. Anzi, no.
De André è uno vero, è stato un cantore e un tifoso della vita, un tifoso della vita vera, la maglia del Genoa è una maglia da De André. Ci sono maglie e maglie nel calcio, simboli e simboli... Secondo me tre sono più maglie di altre... Sono le maglie del Genoa, del Toro e della Roma, squadre espressioni del popolo, col rosso nei colori, con gente sanguigna che se ne innamora. Col Genoa e con la Roma ci ho giocato, del Toro ero tifoso da piccolo...
A Marassi è splendido giocarci ma anche difficile ... sapessi quante volte siamo usciti con la camionetta della polizia. Ma il genoano sa amare come pochi altri. Perché sa soffrire. Anche per questo De André non poteva che essere genoano. Io ho segnato sotto la Gradinata...
Io a Genova ho vinto due derby nella stessa stagione con due gol miei! Roba che è resistita fino a Milito, infatti Milito mi sta sulle palle... Se penso adesso che in quelle giornate ho fatto esultare Faber mi emoziono. C'era un poeta che tifava per me..."

Gianfranco Zigoni, da: Il Grifone fragile, pagg. 61-62

lunedì 20 maggio 2013

Segnalano


Il tempo libero

Che cosa fai quando non hai niente da fare?
"Vado a pescare o a caccia e ovviamente a vedere il Genoa.
Oppure, quando ci sono squadre che possono battere la Sampdoria, io sono sul campo"
(Faber 6 marzo 1966)

da: Il Grifone fragile, pagina 121

fútbologia



La recensione di Simone Pieranni su fútbologia

[Riceviamo e pubblichiamo. Fabrizio De André era malato di Genoa. È da poco uscito per i tipi di Limina il libro Il Grifone fragile di Tonino Cagnucci, in cui si racconta questa storia. Il nostro fratello futbologo Simone Pieranni, genoano, ci ha inviato questa recensione. Non diremo: "Oh, che bella!", leggendola capirete perché. NdR]


Ci si salva a 27.
(Fabrizio De André)

“e ‘nte ‘na beretta neigra
a teu fotu da fantinn-a
pe puèi baxâ ancún Zena
‘nscià teu bucca in naftalin-a”
(Fabrizio De André, D’ä mæ riva)
Intanto vorrei dire a Tonino Cagnucci che ho preso Il Grifone Fragile (Limina, 2013) fresco fresco, ancora non lo avevano posizionato sugli scaffali, ho preso il treno, ho iniziato a leggere il libro e ho sbagliato stazione, sono sceso due fermate dopo. Ne ho approfittato per aspettare un altro treno, prenderlo e finire comodamente il libro.

Poi.
La mia compagna è romana. Trattandosi di un articolo per i fratelli di Fútbologia specifico che è romanista. Nell’ambito di quei sentieri dei rapporti sentimentali che rimangono inesplorati o al contrario sono più volte setacciati alla ricerca di elementi di comprensione, ce n’è uno che ancora le suona strano. Il mio essere genoano, che nella mia personale – e non solo – concezione, si rassegnino i multicolors, significa anche – combacia in modo totale – con l’essere genovese. Tempo fa su Rai5 hanno mandato in onda un documentario bellissimo, Genova e il calcio, che è possibile vedere su YouTube:



Lo abbiamo guardato insieme e forse qualcosa in più ha capito. Ad esempio uno di quegli altri ricordava, con disprezzo, mentre io sentivo montare l’orgoglio rossoblu, che a Genova fino a qualche tempo fa era impensabile avere un sindaco doriano (molto meglio di oggi, che il sindaco si chiama proprio Doria, ma sono tempi grami, si sa). Più in generale emergeva quel link diretto tra le parole Genoa e “malattia” che il libro di Cagnucci mostra in pieno.

Forse perché la mia compagna ha capito qualcosa in più, ormai sa riconoscere l’aria del derby, quando ogni argomento – nelle ore che precedono il match – diventa una potenziale lotta e polemica. E mi lascia solo, ed è giusto così: è il destino del genoano e del genovese.

Non è che De Andrè fosse genoano. De Andrè era malato di Genoa, tanto da scriversi formazioni (probabili, auspicabili, da sogno) o tabelle per la salvezza sul retro degli stessi foglietti su cui erano scritte le canzoni che hanno fatto la storia, o sugli inviti per i concerti in celebri teatri. La vita vera era una pausa tra i momenti in cui ci si poteva dedicare con estrema scientificità al Genoa.

Genoano sfegatato, al limite della sanità mentale. Una genoanità che è genovesità nel momento in cui questa passione viene nascosta, difesa, tenuta per sé e condivisa, mostrata, come un fiume in piena, solo a chi ti conosce bene. Si sa che De André era genoano, si sa che durante il rapimento chiedeva i risultati del Genoa. Meno si conosce la passione viscerale che Cagnucci tira fuori dalle sue agende, dai suoi appunti e dalle frasi dei tanti che lo hanno conosciuto. Nel libro emerge quella genovesità per cui il genoano è conosciuto.

Da genovese quando senti dire, “bella Genova”, il primo pensiero è “ma che cazzo ne sai!”. O ancora “eh il tifo del Genoa che spettacolo”, cui mentalmente si risponde “ma cosa vuoi sapere!”. Genoani si nasce, anzi, a dirla con De André, “eravamo genoani ancora prima di nascere”.

Ora io in questo caso – o spesso su Twitter, ad esempio – ostento il mio essere genoano. Non è per essere riconosciuto dagli altri, ma dai propri simili. Ecco che la genoanità si mischia alla genovesità: riservati, schivi, ma caldi ed “espansivi” con i propri simili. Come De André: con il Genoa a fare da collante al mito, sarò sempre grato a questo libro di Cagnucci. Immaginare infatti Faber che fa le tabelle salvezza (tanto sempre in certe posizioni di classifica ci si trova), quanti genoani gli sono somigliati nelle scorse settimane? A tutti, tranne ai genoani “moderni”, le pecore del calcio moderno per i quali il Genoa è il risultato, il Presidente, i calciatori. Ho sempre invidiato ai triestini, benché nazi nella quasi totalità ultras, un coro: «della partita non ce ne frega un cazzo, Udine Udine vaffanculo». Nel senso, permettetemi questa mini iperbole: si soffre, pesa il risultato del campo, ma quello che conta è l’origine, la radice, l’essere genoani, vivere la genoanità, sentirsi sulle spalle il peso della storia, di quella maglia, della storia del calcio, della storia del paese, di quando – durante il fascismo – il Genoa venne chiamato Genova (i genoani odiano quando i commentatori dicono Genova invece di Genoa) e le squadracce fasciste facevano irruzione nella sede dei tifosi “compagni” genoani. Serie A o serie B – canta la Nord – u Grifun l’è sempre chi, a l’è a squaddra du me cheu forza zena russebleu! (Serie A o Serie B il Grifone è sempre qui, è la squadra del mio cuore, forza Genova rossoblu)

Ancora: quest’estate, mi pare, leggevo un articolo di Maurizio Maggiani (doriano, per quanto possa esserlo un intellettuale, ma è spezzino infatti… o di Sarzana, comunque “periferico”) sul Corriere. Raccontava che aveva appena comprato un tocco di focaccia e se lo stava mangiando fuori dalla focacceria. Ad un certo punto il gestore esce e gli fa: “ti sposti, che non vorrei che qualcuno ti vedesse e poi entra e vuole la focaccia”. Il negoziante in questione era genoano sicuro.
Proprio stamattina ho incontrato Gianluca Ferraris, giornalista di Panorama. Di cosa abbiamo parlato? (Non ci eravamo mai incontrati dal vivo) Di Genoa ovviamente.

Nel libro Il Grifone Fragile ci sono dei momenti veramente emozionanti. Zigoni ad esempio, Dio Zigo (se non sapete chi è, peste vi colga e anche fuori dai coglioni immediatamente) che parla del Genoa e scopre di essere uno dei calciatori preferiti di Faber. Lo avevo chiamato anni fa per fargli un’intervista su Calciopoli. Tempo due minuti, dopo aver saputo che ero genoano, mi ha parlato per un’ora del Genoa, della Gradinata Nord, che lui due pere ai ciclisti le aveva fatte nei derby. Tanto che a Cagnucci confessa che «Milito mi sta sulle palle», scherzando. Il Principe li ha impallinati tre volte in una partita sola. E ancora Zigo che dice: «La maglia del Genoa è una maglia da De André. Ci sono maglie e maglie nel calcio e ce ne sono tre che io accosto: Genoa, Roma e Torino, col rosso nei colori con gente sanguigna che se ne innamora». Che dire?

E poi ancora Turone, Ramon, (tranquilli era goal secondo me…) che racconta del Genoa in C, con Pippo Spagnolo mitico capo della tifoseria (c’era un periodo in cui se non arrivava lui allo stadio non cominciavano le partite), che ricorda quando Turone non voleva andare al Milan perché voleva rimanere al Genoa («Il Genoa è un marchio alla nascita, racconta Turone, un destino»). E ancora sempre Spagnolo che racconta i 42 mila allo stadio per la prima partita in C, contro l’Olbia, del Grifone («siamo andati a prenderli uno a uno in casa i tifosi»).

C’è una sfilza di episodi raccontati e riportati in cui De André anima della genoanità è da magone e viene veramente da patirci – oltre ad essere riconoscenti – al pensiero di Cagnucci che scova tutte queste chicche nelle agende di Faber. Mille episodi, frasi, racconti: per un genoano una lettura imprescindibile, su Faber e sul Genoa, su di noi.

Per gli altri, non mi interessa.

da blog.futbologia.org

Come vedrei una fusione...

"Come vedrei una fusione con la Sampdoria?
La vedrei piuttosto bene dal punto di vista spettacolare, a patto che le maglie rimanessero rossoblu e la squadra si chiamasse Genoa.
Insomma, più che una fusione, vedrei meglio un'eliminazione della Sampdoria"



da: Il Grifone fragile, pagina 121

venerdì 17 maggio 2013

Facevo trasferte lunghissime...

"Facevo trasferte lunghissime, in automobile. Pinelli era malato di diabete e ogni tanto si doveva fermare. Lo vedevo impallidire e poi, all'improvviso, piantarsi una siringa nella coscia. Si faceva di tutto per il Genoa".

Fabrizio De André, da: Il Grifone fragile, pagina 73

giovedì 16 maggio 2013

E' difficile resistere per quattro mesi

"E' difficile resistere per quattro mesi. Non ho potuto nemmeno farmi la barba. Per lavarci la faccia ci fornivano acqua di ruscello. Solo un paio di volte ci hanno fatto la pastasciutta ma di solito ci nutrivano con pane duro di Gallura, pancetta, formaggio e tonno, tonno, tonno (...) L'unica cosa che non ci hanno fatto mai mancare erano le sigarette (...) Non ci hanno nemmeno permesso di sentire la radio, tranne un paio di domeniche per distrarci con il campionato di calcio: ricordo di aver sentito la radiocronaca di due vittorie del Milan e soprattutto di una netta sconfitta del mio Genoa, il 3-0 a Terni. E quella è stata una domenica ancora più tremenda per me..."

Fabrizio De André da: Il Grifone fragile, pagina 109

mercoledì 15 maggio 2013

Il Grifone fragile


     Fabrizio De André s’è fatto cremare con la sciarpa del Genoa. S’è nascosto il Genoa dentro al cuore. «Ma come, De André tifoso?». È il gusto di rispondere a questo odioso stupore. Come se la cultura non fosse stare con gli occhi aperti in mezzo al mondo. Come se il calcio, un manufatto dell’umanità fatto coi piedi, non fosse arte. Come se non fossero esistiti Meroni, Cantona, Le Tissier, Maiellaro, Garrincha, Vendrame. Come se non fossero giganteschi affreschi umani le curve prima dell’avvento della Tessera del Tifoso, e come se non fosse amore quello che c’è dietro a tutto questo. È come fosse uno scandalo che non si può dire: il calcio come arte e poesia.

    Il pallone sta dalla parte della vita. De André come nessun altro è stato da questa parte. Fa scalpore la sproporzione fra quanto scritto sul suo cuore, alla ricerca del suo cuore, e il suo cuore semplicemente rossoblu. Come se questo non fosse un modo degno di raccontare o, peggio, di raccontarlo. È il più grande sgarbo che si possa fare a De André, lui che ha sempre cercato il vero, che spesso trovi nel basso e non nell’alto dei cieli (il Grifone simbolo del Genoa si mischia con la terra per volare), fiutando peggio di un cane frammenti di racconti perduti.

    Il Genoa è stato il suo pudore. In tutta la sua produzione non l’ha mai nominato. Il Genoa è stato il suo amore. E quando verranno a chiedertelo un amore così lungo tu non darglielo in fretta... Non l’hanno ancora fatto. Il vero De André apocrifo è questo.

Il Genoa dentro il cuore di Faber

Fabrizio De André si è fatto cremare con la sciarpa del Genoa. Si è nascosto il Genoa dentro il cuore. “Ma come, De André tifoso?” È il gusto di rispondere a questo odioso stupore. Come se la cultura non fosse stare con gli occhi aperti in mezzo al mondo. Come se il calcio, un manufatto dell’umanità fatto con i piedi, non fosse arte. Come se non fossero esistiti Meroni, Cantona, Le Tissier, Maiellaro, Garrincha, Vendrame. Come se non fossero giganteschi affreschi umani le curve prima dell’avvento della Tessera del Tifoso, e come se non fosse amore quello che c’è dietro a tutto questo. È come fosse uno scandalo che non si può dire: il calcio come arte e poesia. Il pallone sta dalla parte della vita. De André come nessun altro è stato da questa parte.
Fa scalpore la sproporzione fra quanto scritto sul suo cuore, alla ricerca del suo cuore, e il suo cuore semplicemente rossoblù. È il più grande sgarbo che si possa fare a De André, che spesso trovi nel basso e non nell’alto dei cieli, perché il Grifone, simbolo del Genoa, si mischia con la terra per volare.


Libraio - Maggio 2013